24° anniversario della legge 109\96
“Siamo cresciuti all’ombra del campanile e con le iniziative di Libera. Grazie alla legge 109 del 96 le terre confiscate alla mafia sono state per noi una buonissima opportunità…anche se gli altri all’inizio ci dicevano di lasciar perdere perché nulla può cambiare. Malgrado le intimidazione mafiose, abbiamo continuato, creando posti di lavoro e speranza. Ma ci piacerebbe che un giorno tutti i territori della Calabria fossero liberi e che la nostra cooperativa non esistesse più nella sua specificità: vorrebbe dire che non c’è più bisogno di confiscare i terreni ai mafiosi e che un’economia agricola pulita e giusta è diventata la normalità”.“Di tutte le cose dalle quali si può ricavare vantaggio, nessuna è migliore dell’agricoltura, nessuna è più dolce, nessuna più degna di un uomo libero”. Chissà cosa avrebbe detto Cicerone nel vedere usare questa frase per raccontare duemila anni dopo un cammino di liberazione, avviato proprio attraverso l’agricoltura, l’istituto della confisca e una legge di grande utilità allo Stato e di necessaria tutela del debole contro il forte, come la normativa 109 del 96.«Nel bene confiscato abbiamo visto l’opportunità di riscattare il bene più grande –dichiara Domenico Fazzari – «la libertà di rimanere nella propria terra per lavorare». Lui è il presidente della Valle del Marro, una delle cooperative sociali del circuito “Libera Terra”. E anche una delle imprese “Gesto Concreto” del Progetto Policoro della CEI, un’iniziativa per creare una nuova cultura del lavoro.
Possono dire di avercela fatta, lui e gli altri soci che insieme agli stagionali (in tutto una trentina di persone), coltivano 100 ettari di terreni confiscati alla ‘Ndrangheta nella Piana di Gioia Tauro, in Calabria. «In realtà c’è ancora tanta strada da fare. – precisa Antonio Napoli, uno dei soci – La lotta alla mafia è prima di tutto una lotta di tipo culturale, contro una mentalità che è ancora trasversale a molti ambienti e livelli della società». Per questo la cooperativa che svolge attività agricola biologica, s’impegna anche a sviluppare iniziative sociali e culturali, tra cui spiccano i campi di impegno e formazione che hanno come quartier generale un palazzo confiscato alla mafia a Polistena, dove oggi sono attivi – grazie alla Fondazione con il Sud – un centro parrocchiale di aggregazione giovanile, un Poliambulatorio di Emergency e l’ostello della Valle del Marro per ospitare i giovani di Libera. «I campi di Libera – prosegue Antonio – sono un modo per trasformare la vacanza di molti giovani in un “esserci” fatto di autenticità e determinazione. Il bene confiscato diventa quindi il fulcro di un sano protagonismo nella lotta per il cambiamento culturale».
Era il febbraio del 2005 quando i soci della Valle del Marro cominciarono a ripulire un uliveto e un ex-agrumeto, terre abbandonate da 20 anni e considerate “intoccabili”. Da allora non sono mancati gli atti intimidatori, i sabotaggi, i danneggiamenti perpetrati con furia, con accanimento, per far tornare indietro l’orologio della Storia. «Noi non ci sentiamo degli eroi – afferma Giacomo, uno dei soci ed agronomo – non abbiamo fatto altro che dare applicazione concreta ad una legge dello Stato, la 109/96 sull’uso sociale dei beni confiscati alla mafia».
Non è riuscita l’offensiva mafiosa a intaccare la determinazione di quei giovani, che la gente del posto – addirittura familiari ed amici – si affrettavano ad etichettare come “illusi”, “sognatori”, persino “pazzi”. Un muro di omertà e diffidenza che si è sgretolato nel tempo. «All’inizio, incontravamo molte difficoltà nella ricerca di altri lavoratori – spiega Marina, una delle socie della cooperativa – Appena venivano a conoscenza che i terreni su cui avrebbero lavorato erano stati confiscati alle famiglie mafiose, sparivano. Oggi avviene la situazione contraria: sono in tanti a candidarsi per un lavoro in cooperativa.»
Se i beni confiscati sono diventati un’opportunità di crescita civile, sociale ed economica, lo dobbiamo alla legge 109 del 96 e ad iniziative pionieristiche, come il progetto Libera Terra dell’associazione Libera. E lo dobbiamo, anche, ai percorsi di educazione antimafia degli anni precedenti. Giacomo, Domenico, Antonio erano già degli attivisti, quando l’Associazione fondata da don Luigi Ciotti stava nascendo. Negli anni ’80, a Polistena, all’ombra del campanile della Chiesa di don Pino de Masi – oggi referente di Libera per la Piana di Gioia Tauro – quei giovani, insieme a tanti altri, trovarono un punto di aggregazione, un luogo di discussione sui temi della legalità nel proprio territorio. «La Chiesa in quegli anni era l’unica istituzione presente », ricorda Sergio, un altro socio della cooperativa. Il “si” di quei giovani alla proposta di riutilizzare socialmente i beni confiscati alle mafie, fu la conseguenza di un programma d’azione, ben sintetizzato nello slogan: “restare per cambiare, cambiare per restare”. Uno slogan uscito da quegli incontri in parrocchia.
Oggi, la Valle del Marro – Libera Terra, pur tra varie difficoltà (risolvibili potenziando l’applicazione della legge 109/96), rappresenta un modello di economia “giusta” in una zona dove purtroppo esistono ancora, e in maniera diffusa, altri tipi di economia basati sullo sfruttamento e sulla mancanza di diritti.
I prodotti bio della cooperativa – olio extravergine d’oliva, pesti di peperoncino e di olive, arance e clementine – si possono trovare sugli scaffali di Unicoop Firenze e Coop Centro Italia, nelle botteghe di Libera e del commercio equo e solidale. E la distribuzione è resa ancora più capillare, grazie alla preziosa rete dei gruppi d’acquisto solidale (G.a.s.).
Rispetto a 15 anni fa, le cose sono cambiate in positivo. La cooperativa Valle del Marro, che ha deciso di partire dall’agricoltura biologica e sociale per cercare di rompere i meccanismi del potere mafioso, raccoglie i frutti che fanno ben sperare. La riappropriazione sociale dei beni confiscati alle cosche ha creato alternative di vita, forme di sviluppo equo, consenso sociale e ritrovata fiducia verso le Istituzioni. Tuttavia, ci vuole prudenza: Domenico invita a non abbassare mai la guardia: «Il problema fondamentale della nostra regione è la mafiosità dei comportamenti che è propria di tutti coloro che decidono di convivere con la mafia, talvolta approfittarne dei “servizi” che offre, senza tuttavia farne direttamente parte. E questa zona grigia va combattuta con la cultura e liberando chi è schiacciato dalle logiche di oppressione che la zona grigia alimenta. Solo dagli ultimi proviene una grande ansia di cambiamento.»
Ed è proprio l’esperienza dei migranti, che annualmente lavorano nella cooperativa Valle del Marro durante la campagna di raccolta degli agrumi, a rafforzare la voglia di riscatto in Calabria.
Oltre a sottrarli al caporalato ancora comune nella zona e in ambito agricolo, il progetto sui migranti, basato su borse d’inserimento co-finanziate dalla Fondazione Il Cuore si scioglie Onlus di Unicoop Firenze, vuole essere anche un modo di allargare il fronte sociale della lotta alle mafie.
«Il coraggio e la speranza dei migranti africani – afferma Antonio – ci danno ulteriore forza per continuare, perché non ci fanno sentire soli di fronte alla potenza intimidatoria delle cosche. »
La cooperativa prosegue quotidianamente il suo impegno, rilanciandolo con la speranza di diventare un giorno inutile.
«Il mio sogno – conclude Fazzari – è che domani Valle del Marro non esista più, che non ci sia più bisogno di una cooperativa che lavori su terreni confiscati, ma che ci siano tante iniziative libere in grado di rappresentare la normalità del nostro territorio».
Articolo preso dal sito www.valledelmarro.it